LE GUIDE DI FABI NOTIZIE:

LA SCELTA SUL T.F.R. E I FONDI PENSIONE

Com’è noto con la pubblicazione dei decreti attuativi sono stati ufficializzati i moduli, distinti a seconda del tipo di scelta esplicita, che verranno messi a disposizione di ciascun lavoratore dal datore di lavoro, il quale dovrà rilasciarne copia controfirmata per ricevuta ad esito della scelta.

Viene altresì precisata la decorrenza delle scelte per il lavoratore assunto entro il 31/12/2006:

  1. in caso di esplicito conferimento del TFR ad un Fondo Pensione: a decorrere dal 1° luglio 2007 il datore di lavoro versa al Fondo Pensione prescelto dal lavoratore il TFR a partire dalla data di scelta mediante l’utilizzo del modulo Tfr1; la quota di TFR riferita al periodo 1° gennaio – data di scelta, opportunamente rivalutata in base all’art. 2120 del Codice Civile, rimane al datore di lavoro.
  2. In caso di silenzio-assenso: il datore di lavoro versa alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi collettivi, anche territoriali, salvo diverso accordo aziendale, il TFR maturando a decorrere dal 1° luglio 2007; la quota di TFR maturata dal 1° gennaio al 30 giugno, rivalutata, rimane al datore di lavoro.
  3. In caso di esplicita manifestazione di mantenere il TFR: il datore di lavoro, che abbia alle proprie dipendenze almeno 50 addetti, è obbligato al versamento al Fondo TFR INPS, dal mese successivo alla consegna del modulo Tfr1con decorrenza dal 1° gennaio 2007, della quota di TFR maturata da tale data e maggiorata delle rivalutazioni riferite alle mensilità antecedenti la data del versamento.

Lavoratori assunti dopo il 31/12/2006:

i 6 mesi di tempo per effettuare la scelta decorrono dalla data di assunzione mediante l’utilizzo del modulo Tfr2.

Coloro i quali hanno già aderito ad una forma pensionistica complementare alla data del 31 dicembre 2006 ed alla quale versano l’intero TFR NON devono compilare alcun modulo.


COME VALUTARE LA SCELTA

La scelta se destinare il Tfr a fondi pensione per finanziare la pensione integrativa o mantenerlo in azienda dipende dalla valutazione di una serie di variabili: l’età del lavoratore e l’anzianità contributiva in primo luogo; il reddito percepito attualmente e ancora il livello di copertura del sistema previdenziale obbligatorio. Destinare il trattamento di fine rapporto a un fondo pensione, infatti, può comportare per il lavoratore in alcuni casi la rinuncia alla somma che gli spetterebbe in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, a favore di una rendita aggiuntiva a quella che gli liquiderà, con il pensionamento, la previdenza pubblica. Su questo argomento vedi paragrafo “capitale o rendita?”. La scelta è condizionata da fattori soggettivi e oggettivi. La riforma, entrata in vigore il 1° gennaio 2007, si propone di promuovere l’adesione ai fondi pensione e il loro finanziamento consentendo di accedere alla previdenza complementare anche con il solo conferimento del Tfr, il 6,91% della retribuzione annua. In particolare il Governo auspica un successo di adesione ai fondi pensione da parte dei lavoratori più giovani, che al momento del pensionamento, avranno un tasso di sostituzione retribuzione-pensione assai inferiore a quello attuale. Quanto alla convenienza fra il mantenimento del Tfr in azienda e l’adesione a una forma complementare rispetto al rendimento, va tenuto conto che nel primo caso si ha un incremento della quota di Tfr maturata nell’anno (tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’Istat), mentre la seconda soluzione risente dell’andamento di mercato dei titoli a cui fanno riferimento i fondi e le polizze assicurative con finalità previdenziale, con gli eventuali vantaggi e rischi che ne seguono. La legge di riforma per quanto riguarda i fondi pensione ha individuato ulteriori strumenti di garanzia nei confronti dei lavoratori. Oltre alla vigilanza affidata alla COVIP, la commissione di vigilanza sui fondi, le risorse dei lavoratori vengono affidate ad una società di gestione e il denaro materialmente versato e custodito presso una banca depositaria, questo costituisce un ulteriore elemento di tutela nei confronti del patrimonio dei lavoratori. La stessa legge ha istituito anche la figura del responsabile (o direttore) del fondo, che deve dimostrare di avere rigorosi requisiti di professionalità ed è chiamato a rispondere di ogni potenziale vicenda capace di incidere dell’equilibrio del fondo stesso.

La tassazione.  La contribuzione al fondo pensione è deducibile fino al limite di 5.164,47 euro, il tfr non concorre alla determinazione di detto limite, ma comunque non viene tassato al momento di conferimento alla forma pensionistica complementare.

I rendimenti del capitale versato nel fondo pensione e quelli del tfr lasciato in azienda sono soggetti attualmente alla stessa imposta sostitutiva pari all’11%.

Il tfr conferito dal 1° gennaio 2007 ad una forma pensionistica complementare sconta una tassazione sostitutiva sia per le prestazioni in capitale che in rendita con un’aliquota agevolata del 15% ridotta dello 0,30 per ogni anno dopo il quindicesimo con una riduzione massima di 6 punti percentuali.  Al tfr lasciato in azienda o che andrà, per le aziende con almeno 50 addetti, al c.d. Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS si applica la tassazione meno favorevole calcolata sull’aliquota media Irpef dell’anno di maturazione dei requisiti per la pensione con rideterminazione dell’aliquota definitiva in base alla media degli ultimi 5 anni (quasi sempre superiore anche di molto al 23%). E’ chiaro, pertanto, che da un punto di vista fiscale risulta decisamente conveniente trasferire dal 2007 il tfr ad una forma pensionistica complementare.

CAPITALE O RENDITA ?

Perfezionata la scelta tra tfr in azienda o ai fondi pensione nella seconda ipotesi, l’interrogativo successivo è: al raggiungimento dei requisiti richiesti, otterrò una rendita integrativa oppure un capitale? La domanda riguarda solo chi ha iniziato a lavorare con contratto di lavoro a tempo indeterminato dopo il 28 aprile 1993: chi ha iniziato prima può avere il 100% del montante in forma di capitale qualora abbia aderito prima del 31/12/2006 ad una forma di previdenza complementare anche se, in questo caso, la tassazione avviene con le vecchie e meno favorevoli regole, su tutta la prestazione compresa quella relativa al montante maturato dal 01.01.2007. 

La riforma ha l’obbiettivo di creare rendite integrative, supportando quelle del primo pilastro (cioè le pensioni INPS) che saranno più basse a causa dell’allungamento della vita media. Ottenere il capitale subito e non frazionato negli anni è però l’opzione principe per gran parte degli aderenti alla previdenza complementare.

Il meccanismo previsto dalla legge 252/2005 (riforma Maroni) è il seguente: se il 70%  di quanto accumulato al raggiungimento dei requisiti richiesti, una volta convertito in assegno pensionistico, dovesse produrre una rendita inferiore alla metà dell’assegno sociale (4.962,36 euro annui), il lavoratore potrà farsi erogare il 100% del montante in forma di capitale; se la rendita sarà invece superiore, nella forma di capitale potrà essere erogata solo la metà del montante finale, mentre la restante parte andrà a costituire il nuovo montante da convertire in rendita.

La soglia della rendita

Le tabelle di seguito riportate indicano quali sono i livelli di contribuzione annua al fondo pensione sotto i quali scatta il riscatto del 100% del capitale e sopra i quali scatta invece l’obbligo della rendita minima del 50%. L’elaborazione si basa su tre ipotesi di rendimento medio annuo, tutte al netto di un’inflazione stimata del 2% annuo e di un Pil al 2% che produce una rivalutazione dell’assegno sociale che si stima ammonti nel 2012 da 5.478,93 euro per crescere fino a 10.957,25 euro nel 2047. Ciascuno po’ identificare la propria soglia limite a seconda delle caratteristiche anagrafiche e del rendimento stimato per la propria linea previdenziale. L’elaborazione ci indica che più tardi si decide l’adesione ad un fondo pensione, più alta dovrà essere la contribuzione per avere una pensione integrativa; che posticipando di cinque anni l’età della pensione, il contributo scende fino a dimezzarsi; le donne infine devono conferire più degli uomini.

Le tabelle identificano le contribuzioni totali annue sopra le quali il lavoratore beneficerà di una rendita derivante da almeno il 50% del montante e sotto le quali potrà percepire invece il 100% del montante in capitale. Ricordiamo che l’importo della contribuzione è composto dai versamenti a carico del datore di lavoro,  da quello a carico del dipendente e dal tfr se versato al fondo che è pari al 6,91% della retribuzione.

  ETA’ PENSIONAMENTO     ETA’ PENSIONAMENTO
uomini donne   uomini donne
Età 60 65 60 65   Età 60 65 60 65
25 1.718 1.171 1.933 1.338   25 1.329 875 1.495 1.000
35 2.790 1.812 3.046 1.999   35 2.316 1.452 2.528 1.602
45 5.212 3.034 5.703 3.354   45 4.645 2.609 5.084 2.885
55 17.502 6.760 19.813 7.770   55 16.760 6.246 18.973 7.178
ipotesi con rendimento reale del fondo pari al 1%   ipotesi con rendimento reale del fondo pari al 2,5%

  ETA’ PENSIONAMENTO
uomini donne
Età 60 65 60 65
25 1.011 639 1.137 730
35 1.908 1.149 2.082 1.268
45 4.132 2.234 4.522 2.470
55 16.053 5.767 18.173 6.627
ipotesi con rendimento reale del fondo pari al 4%

 

 Fonte: Mefop

Attenzione alle anticipazioni

I calcoli tengono ovviamente conto dei montanti accumulati al lordo delle possibili anticipazioni che potrebbero abbassare il montante fin sotto la soglia limite, consentendo l’incasso della prestazione nella forma di capitale. La normativa vigente infatti prevede che il lavoratore possa chiedere anticipi durante il periodo di contribuzione per spese sanitarie fino al 75% del montante, acquisto prima casa fino al 75% del montante dopo 8 anni di iscrizione al fondo o altri motivi massimo il 30% del montante dopo 8 anni di iscrizione.